Un Sorriso
Un sorriso non costa nulla e produce molto
Arricchisce chi lo riceve senza impoverire chi lo dona.
Non dura che un istante ma nel ricordo può essere eterno.
Nessuno è così ricco da poterne fare a meno,
e nessuno è così povero da non meritarlo.
Creatore di felicità in casa, negli affari è un sostegno;
è il segno sensibile dell'amicizia profonda.
Un sorriso dà riposo alla stanchezza,
allo scoraggiamento rinnova il coraggio,
nella tristezza è consolazione
è l'antidoto naturale in tutte le nostre pene.
Ma è un bene che non si può comprare,
nè prestare, nè rubare,
poichè solo ha valore dall'istante in cui si dona.
E se poi incontrerete talora
chi l'aspettato sorriso a voi non dona,
siate generosi e date il vostro,
perchè nessuno ha tanto bisogno di sorriso
come colui che ad altri non sa darlo.
Non importa ...
"L'uomo è irragionevole, illogico, egocentrico :
non importa, amalo.
Se fai il bene, diranno che lo fai per secondi fini egoistici:
non importa, fa il bene.
Se realizzi i tuoi obiettivi, incontrerai chi ti ostacola :
non importa, realizzali.
Il bene che fai forse domani verrà dimenticato :
non importa, fa il bene.
L'onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile :
non importa, sii onesto e sincero.
Quello che hai costruito può essere distrutto :
non importa, costruisci.
La gente che hai aiutato, forse non te ne sarà grata :
non importa, aiutala.
Dà al mondo il meglio di te, e forse sarai preso a pedate :
non importa, dà il meglio di te".
Madre Teresa di Calcutta.
Messaggio di tenerezza
Ho sognato che camminavo
in riva al mare con il Signore
e rivedevo sullo schermo del cielo
tutti i giorni della mia vita passata.
E per ogni giorno trascorso
apparivano sulla sabbia due orme:
le mie e quelle del Signore.
Ma in alcuni tratti ho visto una sola orma,
proprio nei giorni più difficili della mia vita.
Allora ho detto:
"Signore io ho scelto di vivere con te
e tu mi avevi promesso
che saresti sempre stato con me.
Perchè mi hai lasciato solo
proprio nei momenti più difficili ?".
E Lui mi ha risposto:
" Figlio, tu lo sai che Io ti amo
e non ti ho mai abbandonato;
i giorni nei quali
c'è soltanto un'orma sulla sabbia
sono proprio quelli
in cui ti ho portato in braccio".
Inno alla Vita
La vita è un'opportunità, coglila.
La vita è bellezza, ammirala.
La vita è beatitudine, assaporala.
La vita è un sogno, fanne una realtà.
La vita è una sfida, affrontala.
La vita è un dovere, compilo.
La vita è un gioco, giocalo.
La vita è preziosa, conservala.
La vita è una ricchezza, conservala.
La vita è amore, godine.
La vita è un mistero, scoprilo.
La vita è promessa, adempila.
La vita è tristezza, superala.
La vita è un inno, cantalo.
La vita è una lotta, vivila.
La vita è una gioia, gustala.
La vita è una croce, abbracciala.
La vita è un'avventura, rischiala.
La vita è pace, costruiscila.
La vita è felicità, meritala.
La vita è vita, difendila.
Madre Teresa di Calcutta
Se un Bambino...
Se un bambino vive nella critica
impara a condannare.
Se un bambino vive nell' ostilità
impara ad aggredire.
Se un bambino vive nell' ironia
impara ad essere timido.
Se un bambino vive nella vergogna
impara a sentirsi colpevole.
Se un bambino vive nella tolleranza
impara ad essere paziente.
Se un bambino vive nell' incoraggiamento
impara ad aver fiducia.
Se un bambino vive nella lealtà
impara la giustizia.
Se un bambino vive nell' approvazione
impara ad accettarsi.
Se un bambino vive nell' accettazione e nell' amicizia
impara a trovare l'amore nel mondo.
Doret's Law Nolte
"Ecco qualcuno che si considera molto infelice e viene a spiegarmi
perché. Gli chiedo: "Ha ringraziato oggi? - Ringraziato...? Ma
chi? E perché? - Può camminare? Può respirare? - Sì. - Ha fatto
colazione? - Sì. - E può aprire la bocca per parlare? - Sì. -
Ebbene, ringrazi il Signore. Ci sono persone che non possono né
camminare né mangiare né aprire la bocca. Lei è infelice perché
non ha mai pensato a ringraziare. Per cambiare il suo stato,
dovrebbe anzitutto riconoscere che nulla è più meraviglioso del
fatto di essere vivi, di poter camminare, guardare, parlare".
Gli esseri umani avrebbero migliaia di ragioni per ringraziare,
ma non le vedono. Sono ingrati. Ecco perché il Cielo li fa
passare attraverso varie prove: semplicemente per insegnare loro
ad essere finalmente riconoscenti."
Omraam Mikhaël Aïvanhov
La carezza
di Dio
Don Tonino
Bello
“Caro San
Giuseppe, scusami se approfitto della tua ospitalità e mi fermo per una
mezz’oretta nella tua bottega di falegname per scambiare quattro chiacchiere
con te. Non voglio farti perdere tempo. Vedo che ne hai così poco, e la mole di
lavoro ti sovrasta. Perciò, tu continua pure a piallare il tuo legno, mentre
io, seduto su una panca, in mezzo ai trucioli che profumano di resine, ti
affido le mie confidenze. Non preoccuparti neppure di rispondermi. So, del resto
che sei l’uomo del silenzio.”
“Vedi, Giuseppe, un tempo anche da
noi le botteghe degli artigiani erano il ritrovo feriale degli umili, vi si
parlava di tutto, di affari, di donne, di amori, delle stagioni, della vita,
della morte. Il tempo passava così lento, ma forse era proprio questa lusinga
di eternità a rendere preziosa un’opera di artigianato. Le cose nascevano
perciò lentamente e con i tratti di una fisionomia irripetibile. Oggi purtroppo
qui da noi di botteghe artigiane ne sono rimaste veramente poche. Al loro posto
sono subentrate le grandi aziende di consumo: non si genera più, o meglio si
concepisce solo l’archetipo, ma senza passione e con molto calcolo. Ed eccoli
lì, allineati, questi elegantissimi mostriciattoli dalla vita breve, belli, ma
senz’anima, perfetti, ma senza identità, lucidi, ma indistinti. Non parlano
perché non sono frutto di amore, non vibrano, perché nelle loro vene non ci
sono più i fremiti del tempo prigioniero. Questo è forse il sacrilegio più
grave della nostra civiltà. La distruzione del tempo, e col tempo dell’amore,
della fantasia, della bellezza, dell’arte. Abbiamo creduto che per fare un
tavolo sia sufficiente il legno! Oh Dio! Riusciamo pure ad ammettere che per
fare il legno ci vuole l’albero, e che per fare l’albero ci vuole il seme. E
perfino che per fare il seme ci vuole il fiore. Ma non abbiamo più il coraggio
di concludere che per fare un tavolo ci vuole un fiore! E lo lasciamo dire solo
ai poeti! Ma se oggi qui da noi di botteghe artigiane è rimasto solo qualche nostalgico
scampolo, non è tanto perché non si genera più, quanto perché ormai non si
ripara più nulla. Da noi non si usa più! Quando un oggetto si è anche
leggermente incrinato nella sua funzionalità, lo si mette da parte senza
appello. La nostra la chiamiamo perciò la civiltà dell’usa e getta! Al
televisore che sta in cucina si è fulminato un relè, niente paura! Viene messo
da parte e sostituito con un altro che ha il video registratore incorporato. Al
soprabito di velluto si è scucita la fodera? A un paio di sandali si è staccata
la fibbia? Non vale la spesa ripararli! Porta via al macero, senza scrupoli.”
“Ma
se oggi qui da noi le botteghe artigiane sono pressoché sparite non è solo
perché non si genera più e neppure perché non si ripara più nulla. È perché non
c’è più tempo per la carezza. Vedi Giuseppe, da quando sono entrato nella tua
bottega, quante carezze non hai fatto su quel legno denudato dalla pialla!
Tutte le volte che l’hai strisciato con il ferro, subito vi sei passato sopra
con la mano, leggera come per compensare con un gesto di tenerezza il trauma
della violenza. E anche ora, mentre ti parlo, passi e ripassi con le dita sugli
spigoli smussati dallo scalpello. Quante carezze: con le palme della mano, con
i pennelli, con le spatole, con gli occhi. Sì, anche con gli occhi, perché, ora
che hai finito una culla, sei tu che non ti stanchi di cullarla con lo sguardo.
Oggi purtroppo da noi, non si carezza più, si consuma solo, anzi si concupisce.
Le mani incapaci di dono, sono divenute artigli, gli occhi prosciugati di
lacrime ed inabili alla contemplazione, si sono fatti rapaci, il dogma dell’usa
e getta è divenuto il cardine di un cinico sistema. Perciò si violenta tutto! E
non soltanto le cose Ma anche le persone! Il corpo, degradato a merce di scambio,
è divenuto spazio pubblicitario e manichino per prodotti di consumo! L’eros
mercantile corrode alla radice i rapporti interumani, sgretola la comunione,
frantuma l’intimità, irride la famiglia, commercializza la donna. E con i
postulati di marketing degli spot televisivi, spersonalizza irrimediabilmente
la sessualità, riducendola ad una variabile della cupidigia di potere”.
Vedo, però che si fa tardi. Il
sole, calando sulla pianura di Esdrelon, illumina di porpora gli ultimi
contrafforti dei monti di Galilea. E io ancora non ti ho detto la ragione
fondamentale per la quale sono venuto qui da te.
No, non è per affliggerti con le
lamentazioni mistiche sulla cattiveria dei tempi, e neppure per evitare gli
incroci pericolosi della mia civiltà, che ho trovato rifugio sentimentale
nell’oasi della tua bottega, dove, tra tenaglie, lime e seghetti, attaccati in
bella mostra alle pareti, sono rimasti attaccati anche i ricordi del tempo che
fu; anzi, se ti ho dato quest’impressione di fuga all’indietro non giudicarmi
un introverso pure tu, vittima magari di un raptus da regressione; bastano già
gli psicanalisti che abbiamo da noi, di fronte ai quali devi difenderti dai
tuoi stessi sentimenti, se non vuoi finire nella morsa della loro logica,
impietosa, almeno quanto la morsa che sta sul tuo bancone di falegname!
Mio caro San Giuseppe, io sono
venuto qui, soprattutto per conoscerti meglio come sposo di Maria, come padre
di Gesù, e come capo di una famiglia per la quale hai consacrato tutta la vita.
E ti dico subito che la formula
di condivisione espressa da te, come marito di una vergine, la trama di
gratuità realizzata come padre del Cristo, e lo stile di servizio messo in atto
come responsabile della tua casa, mi
hanno da sempre così incuriosito, che ora non solo vorrei saperne qualcosa di
più, ma mi piacerebbe capire in che misura questi paradigmi comportamentali
siano trasferibili nella nostra società dell’usa e getta.
Dimmi, Giuseppe, quand’è che hai conosciuto Maria? Forse un
mattino di primavera, mentre tornava dalla fontana del villaggio con l’anfora
sul capo e con la mano sul fianco, snello come lo stelo di un fiordaliso?
O forse un giorno di sabato,
mentre con le fanciulle di Nazareth conversava in disparte, sotto l’arco della
sinagoga?
O forse un meriggio d’estate, in
un campo di grano, mentre abbassando gli occhi splendidi, per non rivelare il
pudore della povertà, si adattava all’umiliante mestiere di spigolatrice?
Quando ti ha ricambiato il
sorriso e ti ha sfiorato il capo con la prima carezza, che forse era la sua
prima benedizione e tu non lo sapevi?
È la notte tu hai intriso il
cuscino con lacrime di felicità.
E la tua amica, la tua bella si
è alzata davvero, è venuta sulla strada, facendoti trasalire, ti ha preso la
mano nella sua e mentre il cuore ti scoppiava nel petto, ti ha confidato lì,
sotto le stelle, un grande segreto.
Solo tu, il sognatore, potevi
capirla. Ti ha parlato di Jahvè. Di un angelo del Signore. Di un mistero
nascosto nei secoli e ora nascosto nel suo grembo. Di un progetto più grande
dell’universo e più alto del firmamento che vi sovrastava.
Poi ti ha chiesto di uscire
dalla sua vita, di dirle addio e di dimenticarla per sempre.
Fu allora che la stringesti per
la prima volta al cuore e le dicesti tremando: “Per me, rinuncio volentieri ai
miei piani. Voglio condividere i tuoi, Maria, purché mi faccia stare con te”.
Lei ti rispose di sì, e tu le sfiorasti il grembo con una carezza: era la tua
prima benedizione sulla Chiesa nascente.
Penso che hai avuto più coraggio
tu a condividere il progetto di Maria, di quanto ne abbia avuto lei a
condividere il progetto del Signore. Lei ha puntato tutto sull’onnipotenza del
Creatore. Tu hai scommesso tutto sulla fragilità di una creatura. Lei ha avuto
più fede, ma tu hai avuto più speranza. La carità ha fatto il resto in te e in
lei.
“Ma
ora Giuseppe, cambiamo discorso! Sta arrivando una donna dal forno. Ecco, ti ha
portato del pane, e la bottega si è subito riempita di fragranza. Si direbbe
che il pane, più che per nutrire, è nato per essere condiviso: con gli amici,
con i poveri, con i pellegrini, con gli ospiti di passaggio!
E’
proprio vero, Giuseppe. Il pane è il sacramento più giusto del tuo vincolo con
Maria. Lei morde ogni giorno quello di frumento, procuratole da te col sudore
della fronte. Tu mordi il pane del tuo destino che l’ha resa Madre del Figlio
di Dio.
E’
per questo che per noi, o falegname di Nazareth, tu sei provocatore di
condivisioni generose e assurde, appassionate e temerarie, al centro della
sapienza e al limite della follia. Insegnaci, allora, a condividere il pane con
i fratelli poveri, in questo nostro mondo, dove purtroppo muoiono ancora più di
cinquanta milioni di persone per fame.
Eppure
il pane da segno di comunione, si è trasformato in simbolo della scomunica, ed
è divenuto il discrimine sul cui filo passa la logica della guerra: viene
accaparrato dagli ingordi, non condiviso dai poveri, ammuffisce nelle credenze
degli avidi, non si distribuisce sulle bocche di tutti! Sovrabbonda nei bidoni
della spazzatura d’Europa, ma è sparito sulle mense desolate dell’Eritrea.
Trabocca senza pudore negli opulenti cenoni del Nord, ma è sogno proibito per
tutti i Sud della Terra!
Hai
sentito mai dire, Giuseppe, che se i ghiacciai eterni dell’Ermon, si
sciogliessero d’incanto, le acque sprofonderebbero a valle con pro rose
tracimazioni, il lago di Tiberiade diventerebbe un mare, il giordano
strariperebbe, rompendo gli argini, e l’arsura dell’intera Palestina, verrebbe
per sempre placata!
E
allora! Visto che presso l’Altissimo, ce ne sono poco di santi così
referenziati come te, perché non provochi un fenomeno simile, scongelando le
ricchezze dalle mani di pochi e travolgendo la terra in un cataclisma di pane.
E se questo ti sembra un miracolo troppo grosso per i tuoi mezzi, perché almeno
non persuadi la Chiesa del Duemila a farsi carico con più fiducia della sorte
degli ultimi, non solo spartendo le sue ricchezze con i poveri, ma soprattutto
condividendo la miseria degli esclusi.
Oggi
più che mai vogliamo sperimentarti così, quale Protector Sancte Ecclesiae,
Protettore della chiesa dei derelitti, degli emarginati, dei violentati, dei
palestinesi, dei marocchini, dei terzomondiari, degli sfrattati, degli
sfruttati, dei prigionieri, e degli inquilini di tutte le più squallide
periferie dell’umanità.
Capisco
che se non mi rispondi non è solo perché tu sei l’uomo del silenzio, ma anche
perché la fornaia si è attardata nella tua bottega. Poi si è curvata, ha steso
il mantello per terra e l’ha riempito di trucioli e di segatura, di ritagli e
di assicelle. Ogni sera, così, lei fa il carico per accendere il forno e a te
rimane il pavimento pulito e un pane di granturco per la cena.”
“Silenzio
Giuseppe, un carro si è fermato alla tua porta. Entra un uomo, molto stanco, e
poggia sul bancone un piccolo otre di vino, e dice: Ti ho portato un po’ di
vino. E’ di quello buono. Bevilo Giuseppe, alla mia salute con la tua sposa. So
che aspettate un figlio”. Beh, stasera il Signore vuole mostrarsi
particolarmente generoso anche con me, perché mi ha messo sotto gli occhi un
altro simbolo, quello della gratuità e della festa. Dopo il pane della fornaia,
ecco il vino del carrettiere, il vino che rallegra il cuore dell’uomo. Ci vuole
infatti un bel coraggio a dire che il vino è segno di gratuità e di festa,
quando per noi è divenuto l’emblema drammatico dell’evasione e della fuga, che
accomuna i tossici agli alcolisti, gli ultras ai barboni! Ma perché mai il vino
si è pervertito in idolo fascinoso per chi getta le armi e rinuncia ad
un’esistenza troppo faticosa da vivere? Il motivo c’è: abbiamo smarrito
l’ebbrezza della gratuità e c’è rimasta solo l’ebbrezza dell’alcol! Sicché in
un mondo regolato dai petroldollari, angosciato dai crolli di Wall Street, che
si infischia dei debiti dei popoli in via di sviluppo, che è sordo alle
esigenze di un nuovo ordine economico internazionale.
In un
mondo del genere, come può esplodere la gioia? Ci si lascia vivere! Ci si
appiattisce in un’esistenza che scorre senza più stupore, senza spessore, come
le immagini sul video. E noi compiamo le nostre scelte come se spingessimo i
tasti di un telecomando. Crediamo di scegliere e invece siamo scelti! Si muore
per anemia cronica di gioia, si moltiplicano le feste, ma manca la Festa! “
“Se
non ti dispiace, versa un poco di quel vino, in quel boccale di creta, me lo
voglio portare come ricordo di quest’incontro, e anche di quell’acqua che
sgocciola ancora sul pavimento, dammene un poco! Non è acqua inquinata quella!
Le piogge acide, le discariche industriali e gli additivi chimici l’hanno
ancora preservata, lasciandola come simbolo di purezza e di armonia
ecologica. Dammi della tua acqua, la quale è molto utile, et humile et pretiosa et casta.
E visto
che ci siamo, dammi anche di quel pane! No, non tutto! Spezzamelo Giuseppe!
Condividilo con me! Un giorno anche tuo figlio lo spezzerà prima di morire, e
la speranza traboccherà sulla terra. L’acqua, il vino, il pane: la trilogia di
un’esistenza ridotta all’essenziale! Li porterò con me, nella bisaccia del
pellegrino. Mi serviranno tanto, sulla mia strada di viandante un po’ stanco. E
serviranno tanto anche alla mia Chiesa, anzi quando mi chiederà qualcosa, spero
di non aver null’altro da darle che questo: né denaro, né prestigio, né potere,
ma solo acqua, vino e pane!”
Si è
fatto tardi, Giuseppe. Nella piazza non c’è più nessuno. I grilli cantano sul
cedro del tuo giardino. Nelle case, le famiglie recitano lo “Shemà Israel”. E
tra poco Nazareth si addormenterà sotto la luna. Di là, vicino al fuoco, la
cena è pronta. Cena di povera gente. L’acqua della fonte, il pane di giornata,
e il vino di Engaddi. E poi c’è Maria che ti aspetta. Ti prego: quando entri da
lei, sfiorala con un bacio. Falle una carezza pure per me. E dille che anch’io
le voglio bene. Da morire! Buona notte, Giuseppe!”